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declino che affligge la protagonista è vista da Storini come emblematica «della condizione femminile [...] destinata a tutte quelle donne cui non viene offerta la possibilità di integrarsi nella società» (106). Nel capitolo sulla Grande Guerra, che conclude la prima sezione del volume, l’autrice identifica tre generazioni di donne direttamente toccate dal conflitto, nate rispettivamente intorno alla metà dell’Ottocento (Neera, Marchesa Colombi, Sofia Bisi Albini), nella prima Italia postunitaria (Anna Franchi, Grazia Deledda, Willy Dias) e negli anni Novanta (Benedetta Cappa, Liala, Anna Banti). Il motivo del primo conflitto mondiale è al centro del capitolo in cui si esaminano autrici quali Ada Negri, Anna Franchi, Matilde Serao e Fausta Cialente. Inutile dire che il soggetto è troppo vasto per essere trattato in un capitolo e che, qui forse più che in altri luoghi del suo libro, l’autrice avrebbe potuto giovarsi del ricco corpus critico degli italianisti anglo-americani su questo tema. Storini conclude affermando che «il motivo della guerra [...] ha un potere reattivo all’interno della scrittura femminile» poiché «genera una crisi che [...] sul piano della creazione letteraria pretende una ridefinizione o, almeno, una maggiore specificazione dell’atto narrativo» (143). A questo punto l’autrice compie un salto di quasi un secolo per arrivare al secondo, importante, momento, per modo di dire, quello della svolta del Terzo Millennio. Al contrario della prima parte Storini qui preferisce procedere per categorie assolute (Eros e Thanatos; corpi, spazi, linguaggi; la violenza di genere; lo spazio; la città e la periferia). Al centro dell’analisti di Storini è una rilettura del fortunato genere del giallo fatta in chiave femminile. Dall’investigatrice di Quo vadis baby? (2004) di Alda Teodorani a Un giorno perfetto di Melania Mazzucco (2005), Storini esamina una carrellata di amori violenti e conflittuali segnati dalla paura, «perché è proprio l’amore abnorme, deviato, mostruoso che maggiormente attira l’interesse delle scrittrici noir» (151). Si tratta di una rivolta verso la scrittura sentimentale, verso il lieto fine come «espressione di un male di vivere» (157). Da qui il passaggio a una riflessione sul femminicidio e sulle autrici che se ne sono occupate (Maraini, Dandini, Tani) è d’obbligo. L’ultima parte del libro è dedicata alla teoria dello spazio in rapporto al romanzo noir al femminile. L’autrice si sofferma su Benzina di Elena Stancanelli (1998) e sui nonluoghi del romanzo. Luoghi e nonluoghi sono anche le città-personaggio che occupano l’ultimo scorcio del volume, dalla Torino di Margherita Oggero, irriconoscibile a seconda delle stagioni, all’ambigua Catania di Silvana La Spina fino a Roma, la «città circolare», ridotta, nel Terzo Millennio, a corpo fatiscente e nonluogo degradato, rivista non solo attraverso gli scritti delle donne (Teodorani e Mazzucco), ma tramite quelli di D’Annunzio (Andrea Sperelli), Pirandello (Mattia Pascal), Pasolini e Ammaniti. Nel Secchio di Duchamp Monica Cristina Storini pone numerosi quesiti fondamentali sulla scrittura delle donne italiane dall’Ottocento al Terzo Millennio. Alcuni di essi non trovano risposte esaustive ma il libro rimane un saggio originale che guarda alla produzione letteraria delle donne da un’angolazione insolita.
               
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