Il rapporto della televisione con il cinema è stato spesso considerato in termini di opposizione. Questo saggio analizza La mafia uccide solo d’estate (2013), opera prima di Pier Francesco Diliberto,… Click to show full abstract
Il rapporto della televisione con il cinema è stato spesso considerato in termini di opposizione. Questo saggio analizza La mafia uccide solo d’estate (2013), opera prima di Pier Francesco Diliberto, con un occhio a entrambi i mezzi e senza gerarchie di valore precostituito, e si prefigge di illustrare come il film punti a un superamento della dicotomia cinema–TV. Esso infatti si presenta come un prodotto artistico originale, creato a partire da una contaminazione di generi e forme che coniuga un formato cinematografico più convenzionale impiegato in film sulla mafia con delle tecniche di ripresa e montaggio televisivo tipiche de Il Testimone, il celebre programma di Diliberto su MTV. Il film è un pastiche di modi e forme ma non nel senso postmoderno del termine poiché La mafia uccide solo d’estate, attraverso referenti specifici (targhe sui muri, fotografie, immagini di repertorio, spazio urbano) trascende il gioco postmoderno e non si limita a una circolazione arbitraria dei segni (in particolare il segno “mafia”). È chiaro che se da un lato il film mette in discussione la scarsa referenzialità della TV, dall’altro utilizza in maniera cosciente il mezzo televisivo con alcune delle sue tecniche più consolidate, mettendolo in gioco con dei segni definiti.
               
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